Lo psicologo alla mia porta: una “Psico-Tutor” e un ragazzo con Adhd

Sono le 7.50 e F. è già al cancello della scuola, è il primo, già pimpante. Poi, prima ancora che io varchi la soglia della classe, da quando mi vede all’inizio del corridoio, va in fibrillazione perché vuole farmi vedere il lavoro che ha fatto il giorno prima e questo entusiasmo è assolutamente un pregio. Però quasi sempre dimentica il materiale, parla e non rispetta mai i turni, non va d’accordo con i compagni ed è molto solo.

Questo è quanto mi ricordo del primo racconto di una professoressa quando mi ha descritto le problematiche di F., ragazzo a cui era stato diagnosticato il Disturbo da Deficit dell’Attenzione e dell’Iperattività.

La mamma aveva voluto provare a gestire le sue fatiche scolastiche facendo i compiti con lui, ma F. non riusciva a concentrarsi né ad organizzare nulla in autonomia e lei non aveva tutto quel tempo da dedicare solo a lui.

Così, dopo averli incontrati in studio con il mio collega che aveva fatto la valutazione, un mercoledì pomeriggio ho suonato alla loro porta e ho iniziato la mia avventura con loro.

Ho voluto scrivere “con loro” e non “con lui” perché l’intervento domiciliare è stata una vera e propria costruzione di rete: la mamma mi dedicava sempre dieci minuti del suo tempo appena arrivavo e io la aggiornavo sul lavoro fatto alla fine di ogni incontro, lasciando magari qualche strategia o suggerimento perché il percorso proseguisse anche nei momenti in cui non ero lì. F. non riusciva a reggere il carico dei compiti: stare concentrato su un paragrafo del libro un  un quarto d’ora era troppo per la sua mente vivace e veloce!

F. soprattutto non riusciva a mettersi del tutto nei panni degli altri: così particolare, impulsivo alle volte aggressivo, che non riusciva ad istaurare amicizie e aveva persino paura di camminare o parlare per le strade del paese.

F. poi si dimenticava tutto, dove aveva lasciato il librodella materia che odiava di più ma anche il computer portatile a cui teneva tantissimo. Aveva cominciato diversi sport, tutti abbandonati dopo la prima fatica interpersonale o di performance. Sì, perché chi soffre di ADHD ha un deficit specifico ma è intelligente e F. era anche molto sensibile, capiva che in lui qualcosa non andava, la frustrazione era tanta e ogni tanto si trasformava in rabbia verso qualcosa o qualcuno.

Dopo sette mesi di lavoro insieme per due pomeriggi alla settimana in cui abbiamo studiato, costruito un metodo di studio con strumenti ad hoc, lavorato sulle emozioni e i pensieri negativi, usciti di casa alla ricerca di hobby, motivazione e amici nuovi, F. comincia a pensare che vorrebbe iniziare Scout, l’esperienza dove le fondamenta sono il rispetto delle regole, la lealtà e l’amicizia, tutte cose che prima per lui erano estranee o irraggiungibili.

A distanza di più di un anno dal mercoledì in cui ho suonato alla porta di questa famiglia, F. mi ha raccontato che “è più sé stesso e non più un mostro come lo chiamavano all’asilo” e sua mamma ci ringrazia perché “dare un nome alle difficoltà di F. e il nostro intervento le hanno permesso di comprendere che se ci sono delle fatiche sono affrontabili”.

F. avrà sempre la mente che corre veloce e la voglia irrefrenabile di fare subito quello che pensa, ma adesso ha alle spalle un percorso che gli ha lasciato un bagaglio da dove può tirare fuori qualche strumento in più per volersi bene e affrontare la vita.

Marinella Vicini